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17/04/2008
Comune di Ballabio
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BALLABIO: DAL LATTE AL FORMAGGIO UNA STORIA ANTICA
La storia del paese è stata condizionata e legata all' attività casearia
Autore : Severo Invenizza e Augusto De Micheli

Approfondimento storico sull′attività casearia a Ballabio

L′attività casearia
di Severo Invernizzi
(brano tratto dall′edizione 2008 di Ballabio Ieri, scaricabile da questo sito www.comune.ballabio.lc.it alla pagina "Storia di Ballabio" dal menù "Vivere la città")

Il formaggio, fonte di nutrimento e fonte di commercio. Lo sviluppo socio economico di Ballabio è stato legato e condizionato all′attività casearia, prima familiare poi artigianale ed, infine, industriale. Oggi, il tessuto produttivo, completamente mutato, mantiene viva parte di questa tradizionale attività.

• Le origini
Dall′allevamento bovino nasce con naturalezza un capolavoro: il latte. Dalla sua lavorazione il formaggio e i suoi derivati. Per tentare di ricostruire una storia, sia pure sintetica dell′arte casearia nella nostra zona, bisognerebbe risalire ai tempi più remoti della presenza umana sulle nostre montagne. In tempi antichi il latte non era certo prodotto per ragioni commerciali, bensì per impellenti necessità di sostentamento.
Ma i nostri ricordi, tangibili, certo non risalgono a tempi lontani. Eppure sappiamo che da secoli con precise regole artigianali vari tipi di formaggi erano prodotti: taleggio, gorgonzola, robiola. Sapevano di Valsassina e di Ballabio; anche se Ballabio, politicamente e giurisdizionalmente dipendente da Lecco, fu sempre legato alla Valle per tradizioni, per spirito, per lavoro.
Si dice che il nome Taleggio derivi dalla vicina VaI Taleggio, in quanto i bergamini di tale Valle hanno esportato da noi, passando per la Culmine di S. Pietro, questo tipo particolare di formaggio, ove ha trovato fertile terreno per crescere e diffondersi ed è stato nobilitato. Più comunemente da noi si chiama stracchino. Da noi trovò fama per la cura, direi quasi religiosa, della lavorazione e della conservazione ma, soprattutto, per la stagionatura. Il valore di un buon formaggio sta nella genuinità degli elementi che lo compongono e nella possibilità di una maturazione naturale, ciò che tra i nostri monti è elementare. L′aria fresca e umida contribuisce naturalmente alla lenta maturazione del prodotto conservandone tutta la squisitezza.
Il trattamento del latte rimase sempre invariato. La sua conoscenza è stata tramandata di padre in figlio, di generazione in generazione e con certi piccoli segreti sino al punto di rendere diverso, più o meno gustoso, il formaggio prodotto da una famiglia all′altra.
Tutti i nostri contadini hanno sempre prodotto formaggi tipici. Al Verziere in Milano nel 1600 (ci sono documenti in proposito presso l′archivio storico) i pastori provenienti dalla Valsassina, e di conseguenza anche da Ballabio vendevano robiole e stracchini.

• L′industrializzazione
Nella seconda metà dell′800 inizia una maggior industrializzazione del prodotto caseario. È l′epoca in cui diversi piccoli imprenditori comprendono che i prodotti locali possono essere maggiormente diffusi attraverso un′organizzazione più appropriata e, perché no, divenire una fonte di sviluppo economico.
La valle della Gera, dalla gola di Balisio si riempie di casere per la stagionatura del taleggio, del gorgonzola, delle robiole. Il prodotto, fresco, viene raccolto e sistemato nelle cantine delle "casere", a parecchi metri sotto terra. In mancanza di celle frigorifere, la neve e il ghiaccio raccolti nel periodo invernale e gettato in quei luoghi, ricoperto da pula e foglie per conservarlo, creavano la gradazione necessaria di fresco.
Ballabio era realmente la capitale indiscussa e riconosciuta di questa particolare produzione. Fra i tanti imprenditori con sede in Ballabio, qualcuno pensò di allargare fuori dei nostri confini territoriali la produzione ed ebbe fortuna. In particolar modo, ancor oggi sulla cresta dell′onda vi sono i nomi di Locatelli e Galbani, originari entrambi di Ballabio.
La ditta Locatelli Mattia nacque nel 1860 in Ballabio con una modesta attività di stagionatura del gorgonzola. In pochi anni allargò la sua sfera commerciale, raggiungendo tutta la Lombardia. Si andava a raccogliere il prodotto fino dai contadini della bassa milanese per poi trasportarlo da noi per la stagionatura. Già sul finire dell′800 troviamo succursali all′estero: Londra, Buenos Aires, a dimostrazione della diffusione della produzione commerciale raggiunta in poco tempo. Grande impulso si ebbe quando i tempi erano ancora favorevoli e alla direzione della ditta giunse il Sig. Umberto, più tardi nominato Senatore del Regno. Sotto la sua guida venne incrementata la gamma dei formaggi prodotti con la costruzione di caseifici in diverse zone dell′Italia: in Emilia, in Piemonte, giù fino nel Lazio.
Siamo attorno del 1880, Egidio Galbani torna a Ballabio al termine del servizio militare. È il momento, come per tutti i giovani della sua età, di crearsi un futuro. Non ha intenzione di affiancare il padre Davide nel lavoro di fabbro. Intravede nell′industria casearia, allora fiorente nel nostro paese, vaste possibilità. Sa che i formaggi locali riscuotono apprezzamenti da parte di tanti estimatori fuori del nostro territorio. Forse il commercio di formaggi, l′acquisto di "Quartiroli" freschi e la loro rivendita dopo una buona stagionatura nella nostra aria, poteva essere un affare. Quello che mancava era il capitale necessario per l′avvio dell′impresa. Vista la sua buona volontà, un conoscente anticipa cinquecento lire! La ditta era nata. A poco a poco, per gradi, lo sviluppo. Galbani personalmente, con carro e cavallo, raccoglie gli stracchini freschi e li porta a Ballabio per la stagionatura; raccoglie anche il latte che lavora per conto proprio. Tenta ad un certo punto un colpo rischioso: affronta la concorrenza francese, allora molto forte e dominante nella produzione di particolari tipi di formaggio a gusto speciale, considerati un lusso. L′affare va in porto. Il nome è creato.
Ma anche Galbani, come Locatelli e altri, con l′introduzione di nuove tecniche di produzione lasciano la sede originale di Ballabio; si trasferiscono in località meglio servite commercialmente, con possibilità di collegamenti più rapidi e diversificano i loro prodotti.
Dopo il decadimento, per diverse cause nel periodo fra le due guerre, Ballabio perde l′egemonia in questa produzione; altri però si affacciano, in tempi più recenti, per riprendere a valorizzare una tipica produzione secolare nata qui, si può dire, ma soprattutto qui diventata illustre.
Si continua così a tener viva una fama nata per necessità e diventata industria.

Ghiaccio e formaggio
di Augusto De Micheli
(brano tratto dall′edizione 2008 di Ballabio Ieri, scaricabile da questo sito www.comune.ballabio.lc.it alla pagina "Storia di Ballabio" dal menù "Vivere la città")

Dopo la metà del secolo XIX sono state costruite ed entrate in funzione, una dozzina di casere in Ballabio.
Nel brano di Severo Invernizzi sulla fase di industrializzazione della produzione di latticini, si legge di casere per la stagionatura, di formaggi sistemati in cantina a parecchi metri sotto terra e dell′uso del ghiaccio per la loro conservazione nel periodo estivo.
Perché ci si renda conto dell′ampiezza delle attività di stagionatura si elencano, con buona attendibilità, l′ubicazione delle casere con inizio dall′ingresso del paese (provenienza Lecco) e poi, via via, salendo:
- Via Provinciale 6 (presso l′attuale agenzia immobiliare);
- Via Mazzini 82 (presso l′attuale condominio Casere);
- Via Mazzini 28 (Sede Galbani);
- Via Provinciale 62 (ex Romanin);
- Via Provinciale 74 (una delle più grosse, poi Colonia FF.S.);
- Via Provinciale 49 e 53 (la prima completamente trasformata in condominio; nella seconda vi sono edifici uso abitazione);
- Via Provinciale 88 (già distributore di benzina);
- Via Provinciale 108 (attualmente un capannone; ex casera del Vento);
- Via Provinciale 97 (in Balisio; imponente casera con dimora padronale ora negozio vendita alimentari);
- Via Provinciale 109/111 (in Balisio; grande complesso di diverse casere in parte trasformate ad uso commerciale o abitazione);
- Via Roma 40 e 21 (una dirimpetto all′altra).
Le casere erano per la maggior parte grandi o molto grandi costruzioni, assai robuste (tra un piano e l′altro vi erano putrelle d′acciaio) per sostenere il grosso peso dei formaggi, con due o massimo tre piani emergenti e almeno due sotterranei; la funzione di queste due parti risiedeva nel fatto che la costruzione emergente era utilizzata per la stagionatura nei mesi freddi o stagioni di mezzo; la parte interrata serviva per i mesi caldi, al fine di non creare danni ai formaggi.
Per quest′ultimo preciso scopo si utilizzavano tonnellate (sì!) di ghiaccio che veniva scaricato negli "inferi" delle casere (da apposite finestrelle raso terra) e poi coperto di "pula" o "lolla" (la polvere o scarto del fieno, onde ridurre la possibilità di scioglimento del ghiaccio).
Ovviamente i taleggi e più ancora il gorgonzola andavano lavorati e cioè si doveva - a ciclo continuo - girarli e salarli con l′avvertenza che il gorgonzola, formaggio ben più qualificato, esigeva anche la perforazione (operazione delicata) con grosso ago di rame onde consentire il formarsi del caratteristico "verde" (che altro non è che una muffa penicillinea).
Ma se tutto è abbastanza chiaro, chi forniva invece le tonnellate di ghiaccio? C′era allora una fabbrica in zona? No, era la natura che riforniva quella preziosa materia fredda. Infatti quasi ogni casera aveva al proprio esterno uno o due laghetti. Grandi vasche in cemento, con lati uguali di circa 20 metri, con profondità non superiore ai 70 - 80 centimetri. Nel periodo "non sotto zero" termico si presentavano come graziose vasche, qualche volta con ranocchi e/o pesci al loro interno; d′estate i ragazzi giocavano anche attorno per rinfrescarsi. D′inverno, invece, i laghetti erano motivo di grosso movimento e di lavoro: allorché lo strato superficiale diveniva ghiaccio, con spessore attorno ai 5 - 6 centimetri, gli operatori del formaggio si avvicinavano, lo frantumavano a mazzate, lo imbragavano con ganci, lo caricavano su appositi carri a bilancia (trainati da cavalli) e lo scaricavano nel profondo delle casere per l′estate successiva. E così, in continuazione, ad ogni formarsi di crosta ghiaccia. E più l′inverno era freddo e più materia prima, sommamente indispensabile, si immagazzinava nelle pance delle casere. Ben ammassato e protetto con una copertura di pula o anche foglie secche di bosco, là restava per 8 o 9 mesi con funzione di rinfrescante nei mesi caldi.
Quella era arte, arte manuale che si trasformava nelle squisitezze casearie per le quali Ballabio in primis e la Valsassina poi, sono noti e apprezzati. Ancora oggi possiamo osservare la classica architettura delle casere, in Via Roma 40 e 21 (pur nelle loro modificazioni interne); quanto ai laghetti, proprio davanti al Ristorante Gera si può osservare un piazzale adibito a deposito macchine; era un laghetto.

[ fonte: www.comune.ballabio.lc.it ]


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